What the fuck is Heimat?

What the fuck is Heimat?
Heimat è la patria interiore, ecco qui la traduzione: patria interiore.
Un Rolex al polso amputato della zampa tatuata di un maiale morto in campo fucsia.
Grazie Stefan Strumbel, che ritrovo un po’ del mio pensiero formalizzato in un’immagine tua, e te la compro pure nella sua forma di oggetto, che per me sono file, che per me erano sottili lamine d’argento e non esistono finchè non vado in edicola.
Stefan, capita che i miei amici nel reale siano miei nemici di classe.
Stefan, capita pure di averne amata un po’ una.
Stefan, ma cosa te ne frega a te, che quella è forse l’unica immagine tua buona.
Ma cazzo.
Capita. Capita perché se nessuno può scegliere dove nascere, qualcuno deve scegliere da che parte stare.
Io sto dalla parte di chi non può che vendere la propria forza lavoro.
Il valore nasce solo così, dal sudore e dall’ingegno, come l’Amore è figlio della povertà e dell’intelletto.
Poi va beh, dopo l’accumulazione originaria, si è visto che il capitale produceva interesse e hanno scambiato, hanno scambiato, scambiare è cosa ben diversa dal produrre, la borsa, hanno scambiato lo scambiare con il produrre, ma se gli oggetti non venissero prodotti, cosa ci sarebbe da scambiare?
Io sto dalla parte di chi colora i muri e di Brecht, che diceva che il criminale è chi le banche la fonda, non chi le rapina.
E ora che l’ho scritto, capisco di avere anch’io un piano B.
E a chi mi dice che era roba dell’ottocento, rispondo che la fisica è rimasta la stessa dalla nascita dell’universo, e anche forse dal Prima, e che le leggi che la modellano sono così, perché la matematica è fatta così, perché il cervello è fatto così. E non penso neppure abbia senso parlare di uomo in sè, che nasce, cresce e assorbe nel sociale, che altrimenti sarebbe un involucro vuoto, che altrimenti manco saprebbe parlare o camminare, che altrimenti non sarebbe.
L’individuale crolla davanti al sociale e si consola nel duale.

Prezzo e valore sono due categorie distinte e in questa fiera, dove vengono esposti oggetti in vendita relativi al mercato dell’arte contemporanea, mi cade in testa un esempio.
Formalmente, il valore di un’opera d’arte dipende soltanto dalle ore di lavoro impiegate nella sua realizzazione – e le ore di lavoro sono ore, e hanno lo stesso valore per tutti gli uomini, da Rosa Luxemburg a Capezzone (uno così non lo devi manco toccare, uno così no, no no) – mentre il suo prezzo è funzione di una marea non numerabile di contingenze.
Scrivo in italiano da un divano in Germania, su un dispositivo progettato in America, costruito da qualche parte in oriente, vivificato da un software codificato a pezzi in tutto il pianeta.
Follow me on twitter, find me on facebook, look at my pictures on flickr, suck and spit me in the ashtray.

testo e foto mie, di Davide Pambianchi,
che per me puoi pure riprodurre quel che ti pare,
che tanto in testa ci hai la segatura e, come dice Sandrino mio,
mangi crusca e caghi legno.

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