Berlino, “sonata” genovese per luci e immagini

Germania, Berlino 12 2010 - Kreuzberg 36 - tag enormi e la scritta a rullo giù dal tetto: love art hate cops

La neve sui marciapiedi, che a ogni passo diventa più dura e scura, emette sotto le suole un suono che nessun micorofono può registrare. Il cielo, in questa stagione, sopra Berlino rimane in bianco e nero per settimane. Come in un video accelerato, i tralicci delle gru si muovono veloci sopra i palazzi, braccia sovraumane artefici della perenne trasformazione urbanistica di questa capitale, rasa al suolo e ricostruita al ritmo delle tragedie che hanno scandito il ventesimo secolo.
In una scala di grigi tra la terra e il cielo, i colori delle pubblicità non ti accecano, le architetture non ti schiacciano e il giallo della metropolitana funziona meglio del teletrasporto dei telefilm di fantascienza anni settanta. Al finestrino, personaggi enormi ti guardano ad altezza occhi, l’arte si integra nel tessuto urbano fino a diventarne parte organica, arrampicandosi sulle facciate dei palazzi nella forma di un astronauta alto cinquanta metri o di un tizio in giacca e cravatta ammanettatato nei suoi rolex d’oro.
Meravigliosamente a pezzi, Berlino è indebitata con il resto della Germania produttiva, quella di Amburgo e Francoforte, con il pil in salita oltre il quattro per cento l’anno, per aver investito i finanziamenti ricevuti per la ricostruzione della città nella costruzione delle persone, affermandosi nel giro di due decenni come cantiere culturale permanente al centro dell’occidente.
pagina - ILSECOLOXIX-Naz-24-C-01-11-11-Nazionale - Davide Pambianchi

Tre milioni e mezzo di abitanti, di cui il quindici per cento con passaporto estero, tra i quindicimila italiani residenti, in questa Berlino che sa convertire le diveristà tra le persone in materia prima preziosissima, ci sono anche tre genovesi che da diversi anni sciacquano nelle Sprea (il fiume della capitale) le suggestioni artistiche accumulate in una vita trascorsa nei vicoli del centro storico.

Germania, Berlino 12 2010 - Francesco Cassi Germania, Berlino 12 2010 - artista genovese Oscar Colombo attacca personaggio ferito disegnato su carta con la colla sul muro - personaggi feriti che si curano progressivamente, appiccicati ai muri dell'inverno berlinese

Imbacuccato in una bella giacca verde, appoggiato a un’enorme trave di metallo blu, mentre ci aspetta, sembra quasi che Francesco Cassi regga con la schiena tutta la stazione della U-bahn di Jannowitzbrücke. Due decenni di percorsi espressivi, dalla direzione artistica del Tulse Luper Book in Turin del maestro Peter Greenaway all’ultima mostra collettiva con pezzi di Bansky e Sir Peter Thomas Blake (sì, proprio lui, proprio quello che ha disegnato la copertina del Sgt Pepper dei Beatles nel ’67), dall’audioviso alla tela, il buon Cassi, genovese classe 1974, dopo stagioni di lotte a colpi di pennello e pennarello dal magazzino Hardcore Bricolage in Vico del Duca, ha trovato la propria stablità da due anni e mezzo a Berlino.
“Sì, va beh, ma non è mica Disneyland, la crisi la senti anche qui, ci sono un sacco di disoccupati, è dura, – racconta Francesco, quasi volesse smorzare l’inevitabile infatuazione berlinese – il mare è lontano, fa un freddo cane, ma tant’è…” Ma tant’è in Italia non ci sono posti come il Bethanien, ospedale evengelico ottocentesco a Mariannenplatz, nel distretto di Kreuzberg, occupato nel ’70 da un gruppo di cittadini e successivamente riconosciuto dallo stato in quanto “Künstlerhaus, casa degli artisti”, in cui gli spazi e i mezzi di produzione vengono condivisi con l’unica finalità dell’espressione degli individui, praticando attivamente forme sempre rinnovate di comunicazione tra le persone. Spiato dalla storia della grafica appesa ai muri, nei laboratori saturi di acidi che furono sale operatorie, Francesco produce serigrafie in cui i segni calligrafici si ripetono strato su strato fino a diventare simboli, come fossero ideogrammi contemporanei generati da un alfabeto inintelligibile.
Germania, Berlino 12 2010 - notte dicembre berlinese - cigni in un canale al freddo invernale

Il secondo protagonista di questo breve viaggio tra gli apolidi genovesi dell’arte, artefici di una forma di mobilità tanto attuale da poter essere definita “emigrazione 3.0”, si chiama Alessandro Lupi e in questo momento sta svernando in Thailandia. Per intervistarlo bisogna ricorrere a Skype. Trenacinque anni per un metro e novanta, un sorriso perpetuo dietro una bella barbetta castana, è famoso in Europa per la tecnica originale con cui realizza densità fluorescenti, dipingendo uno a uno fili di poliestere con pigmenti che assorbono la luce nera di Wood per resituirla in forma di scultura evanescente. Da due anni residente nella capitale tedesca, laureato presso l’accademia ligustica di belle arti, rappresentato dalla Galleria d’arte contemporanea Guidi e Schoen in vico Casana, Alessandro gioca con la luce fin da bambino, da quando desiderava costruire una torcia che emettesse un fascio di buio. “Berlino non ce la fa più, è una città martire, un’isola intima che ti accoglie, il mito del denaro è morto, i ricchi non lo ostentano e non lo sprecano, – dall’altra parte del monitor, in un internet cafè di Bangkok, l’entusiasmo di Lupi non viene interrotto neppure dalla connessione a singhiozzo – qui le persone non ti chiedono che lavoro fai, ma cosa fai, chi sei, è diverso, si respira un concetto dello spazio pubblico avanzatissimo, ho aperto la partita iva in dieci minuti, la burocrazia è semplice, i politici sono persone serie, un parco verde dietro l’altro …”. Dieci anni di esposizioni da Cuba a Lubiana, appena rientrato in Germania, Alessandro dovrà smontare “Lichtung, luce nella radura”, la sua ultima installazione presso l’Art Campus berlinese di Halle am Wasser e catalizzare le idee per un nuovo lavoro, da portare con Guidi e Schoen alla Fiera d’Arte di Bologna prevista per fine gennaio 2011.

Germania, Berlino 12 2010 - notte dicembre berlinese - metropolitana notte - finestrini con decorazione contro il fenomeno dei grattini

Un codice di scritte enormi che colano dai tetti, adesivi, targhe, disegni, lettere incastonate nel fluido mosaico artificiale di travi, semafori, distributori automatici, vagoni della metro, scale e strisce pedonali. In bilico tra l’arte e il vandalismo, l’intervento attivo sul tessuto urbano e l’illegalità, la street art, di cui la città del Muro non poteva che essere capitale naturale, è stata accettata in quanto forma espressiva da abili operatori del mercato dell’arte contemporanea, che hanno saputo strapparla dalla città per introdurla nelle gallerie in cambio di denaro.
“Ho inziato dal writing, dipingendo sui muri per la strada, come milioni di ragazzi su tutto il pianeta, quello che faccio nasce dall’asfalto e dal cemento, e ad esso si ricongiunge spontanemente”. Nato a Cagliari nel 1978, a Genova fin da bambino dopo un grave lutto in famiglia, il liceo artistico Paul Klee lasciato a metà, la prima esposizione a quattordici anni, l’attività da restauratore nella Cattedrale San Lorenzo abbandonata perchè soffriva di veritgini, Oscar Colombo non indossa sorrisi, ma a Berlino ci si trova benissimo. “I miei personaggi – dipinti su carta e attaccati per le vie con la colla da tappezziere – sono feriti, ma in senso positivo, l’aria tedesca li sta curando, avvolti nelle bende e sanguinanti, si trovano a prorio agio con gli sguardi dei passanti, che si fermano a osservare, scattano foto e qualche volta li staccano e se li portano a casa”. Con un affitto ragionevole in una bella casa insieme alla sua fidanzata, con un lavoro da chef in un ristornate di lusso e un’attività artistica da non dormire la notte, Oscar, per quanto gli manchino da morire gli amici, l’odore del centro storico e la focaccia, forse, in Italia, non ci tornerà proprio più.

Germania, Berlino 12 2010 - opera street artist italiano Blu

Mentre, appiccicati per le vie, i personaggi feriti di Colombo, progressivamente guariscono, Berlino ci saluta con affetto sulle scale della stazione di Kottbusser tor, dove anche i pusher algerini hanno l’aria affidabile e c’è una cabina per fototessere chimiche in bianco e nero, perfetta sotto i neon di quel corridoio grigio, che sarebbe degna del MoMA di New York. Si curano, sulle pareti della città che fu divisa dal muro più eretto, scavalcato, metaforicamente abbattuto e ricostruito della storia del novecento, quel Berliner Mauer che separava due visioni del mondo opposte, mentre, come fosse stato cosa viva e urlante, ispirava nel dolore generazioni di artisti e pensatori.

Germania, Berlino 12 2010 - artista genovese Oscar Colombo attacca personaggio ferito disegnato su carta con la colla sul muro - personaggi feriti che si curano progressivamente, appiccicati ai muri dell'inverno berlinese

altre foto qui, qui, qui e qui
testo e immagini © Davide Pambianchi

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